Asilo per Chinonso: ecco perché aveva taciuto di essere gay
Il Grande Colibri - Michele 27/07/2017
Un ragazzo africano arriva in Italia dopo varie vicissitudini. Chiede asilo, ma gli viene negato. È una cosa che accade tutti i giorni, per mille ragioni differenti.
Un ragazzo africano arriva in Italia dopo varie vicissitudini. Chiede asilo, ma gli viene negato. È una cosa che accade tutti i giorni, per mille ragioni differenti. Spesso il richiedente non ha diritto alla protezione umanitaria o all’asilo per ragioni semplici: non ha subito o non rischia di subire alcuna persecuzione nel suo paese, nel suo gruppo religioso o nella sua cerchia di conoscenti. Magari la decisione può apparire crudele, ma la procedura per ottenere l’asilo o la protezione umanitaria in un paese aderente alla Convenzione di Ginevra è cosa diversa dal legittimo desiderio di emigrare, anche solo per motivi economici.
In molti altri casi l’asilo viene negato sulla base delle valutazioni della Commissione che esamina le domande, e qui entrano in gioco una quantità di fattori (credibilità del richiedente, situazione del paese di provenienza, possibilità di dimostrare di aver subito o di rischiare di subire una persecuzione, fosse pure solo all’interno della propria cerchia familiare, del proprio gruppo etnico o religioso, capacità dell’interprete di spiegare letteralmente alla commissione, senza aggiunte o commenti personali, quanto il richiedente sta dicendo, eccetera) che possono influenzare il giudizio. Tra questi fattori c’è anche l’omissione di particolari da parte del richiedente, anche se può sembrare un controsenso: perché mai uno dovrebbe tacere degli argomenti che lo aiuterebbero a ottenere l’asilo o la protezione?
La persecuzione taciuta
Per cercare di spiegare questo punto ci aiuteremo con il caso di un ragazzo nigeriano, Chukwu Chinonso Oforbuike, 26 anni di Enugu, seguito ora dall’associazione Le Rose di Gertrude di Magenta (Milano), che da qualche mese è attiva anche nell’assistenza alle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersessuali e asessuali) richiedenti asilo della zona dell’Est Ticino in Lombardia. Il ragazzo, come molti altri che vengono dal suo paese e da altri paesi di quell’area geografica, non conosce le legislazioni del mondo sulle questioni LGBTQIA: sa di essere stato perseguitato nel suo paese per aver avuto rapporti omosessuali e, senza sapere che quei rapporti non sono illegali in Italia, inizialmente tace della sua omosessualità alla Commissione che dovrebbe concedergli o meno l’asilo.
Eppure ha una prova forte della persecuzione: un articolo di giornale del Nigerian Tribune del 10 giugno 2014 (“Omosessualità: la polizia nigeriana dichiara ricercata una gang di 4 uomini”), che si porta appresso, parla di lui e di altri tre ragazzi, citando tutti con nome e cognome e pubblicando le foto non oscurate dei volti, e cita persino una taglia per catturare lui e i suoi amici “colpevoli” di avere compiuto atti omosessuali. Per paura, però, non accenna neppure al fatto di essere gay e, probabilmente non avendo altre motivazioni valide per ottenerlo, si vede negare l’asilo.
Chinonso ha perso i genitori e gli altri componenti della sua famiglia sono venuti a conoscenza della sua omosessualità dopo che era scoppiato lo scandalo. Ospitato in un primo tempo a Biella, il ragazzo trova un compagno, anch’egli nigeriano e che ha già ottenuto l’asilo, con cui convive ed entra in contatto con gruppi LGBTQIA non appena viene a conoscenza della loro esistenza.
Il diritto d’asilo negato
In Nigeria (senza considerare la presenza di gruppi fondamentalisti come Boko Haram) la pena per crimini omosessuali (incluso l’essere sorpresi chiusi in casa a fare sesso con un partner consenziente) va dai 4 ai 14 anni di carcere, ma nelle regioni governate legalmente dalla sharia si va dalle 100 frustate alla pena di morte. Tuttavia il giro di vite imposto con l’aumento degli sbarchi di migranti e richiedenti asilo degli ultimi anni ha fatto sì che, in assenza di certezze e in presenza di racconti che possono apparire contraddittori o semplicistici, chi giudica sia portato a bocciare più che in passato anche le richieste provenienti da paesi in cui la situazione è oggettivamente pericolosa, come in Nigeria (come è purtroppo evidente dal gran numero di notizie apparse sul Grande Colibrì).
Inoltre con l’entrata in vigore, nelle prossime settimane, delle ultime parti del decreto Minniti-Orlando, approvato dal Parlamento nello scorso aprile, i diritti dei richiedenti asilo subiranno un drastico ridimensionamento, essendo abolita quasi ogni possibilità di ricorso alla bocciatura da parte della Commissione, dato che nel ricorso al giudice (che era precedentemente possibile in due gradi di giudizio) quest’ultimo potrà anche rifiutare di vedere il richiedente, basandosi unicamente su quanto emerso nell’audizione fatta in Commissione. Il decreto, che contiene elementi di palese incostituzionalità, avrebbe per esempio impedito a Chinoso il terzo grado di giudizio che sta aspettando.
L’azione delle associazioni
Per queste ragioni è molto importante che i richiedenti asilo LGBTQIA, spesso impreparati per il fatto di essere stati educati a considerare il proprio orientamento sessuale sbagliato e peccaminoso, vengano seguiti da persone che li possano consigliare ed indirizzare. Ed è per questo che è importante che anche molti gruppi locali, come Le Rose di Gertrude di Magenta, siano in prima linea su questo fronte.
“Sebbene ci sentiamo solidali con tutti i coloro che sono nel bisogno, verso questi migranti LGBT ci sentiamo forse più solidali perché molte persone LGBT italiane hanno avuto esperienza di cosa significhi avere paura a causa del proprio modo di essere, sebbene in Italia non abbiamo mai avuto leggi che attentassero direttamente alla nostra vita o libertà” spiega Sergio Prato, presidente dell’associazione. “Come omosessuali sappiamo poi cosa significhi essere minoranza all’interno di un gruppo a volte ostile, la condizione di questi nostri amici che sovrappongono ancora più aree di disagio e discriminazione in quanto omosessuali, migranti, di altra etnia, di altra confessione religiosa spesso connotata da pesanti tratti di omofobia”.
“Tra le varie preoccupazioni per i giovani che seguiamo ultimamente siamo molto turbati e preoccupati per l’amico Chinonso, che per la terza volta dovrà ritornare davanti al giudice a Torino per far riconoscere il suo stato. Assieme abbiamo raccolto nuove testimonianze e abbiamo scoperto gravi accuse da parte del suo paese recuperando l’articolo del Nigerian Tribune” aggiunge James S., un nuovo attivista che da qualche mese collabora alla vita dell’associazione.
Naturalmente l’associazione, che deve il suo nome alla scrittrice femminista lesbica Gertrude Stein, può essere contattata anche da altre persone LGBTQIA che abbiano necessità di aiuto nella zona dell’Est Ticino all’indirizzo info@lerosedigertrude.it.