El-Fil: essere rifugiato in un paese come l’Italia significa per me dover imparare a essere paziente
Il Grande Colibri 23/12/2016
El-Fil, 25 anni, è un ragazzo transessuale FtM (dal femminile al maschile) nordafricano, arrivato in Italia circa otto mesi fa
El-Fil, 25 anni, è un ragazzo transessuale FtM (dal femminile al maschile) nordafricano, arrivato in Italia circa otto mesi fa. L’ho conosciuto dal primo giorno che ha messo piede sul territorio italiano, quando ero ancora volontario dell’associazione MigraBò LGBT, che aiuta i richiedenti asilo e i rifugiati per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere nella provincia di Bologna. È un giovane con mille mila idee, fantasioso e divertente, ha molta voglia di lavorare su sé stesso e tantissima pazienza con questo mondo poco tollerante verso lo sconosciuto e il poco definito rispetto agli stereotipi di genere ai quali siamo abituati.
Ho chiesto a El-Fil di raccontarsi al Grande Colibrì perché si sappia che dietro ogni persona in questo mondo c’è una storia […] Ecco cosa ci racconta El-Fil:
“Essere rifugiato in un paese come l’Italia significa per me dover imparare a essere paziente: si deve resistere contro le ingiustizie con la calma fino a diventare quasi merli, sciocchi, balordi ed emotivamente freddi. Penso che questa sia una regola a cui si attengono tutti i rifugiati e i migranti, ma per quanto riguarda le persone trans il discorso è ben più complesso.
“Purtroppo l’Italia fino a oggi non è mai stata in grado di occuparsi delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) immigrate o rifugiate in modo adeguato: ne abbiamo sentite di storie di aggressioni ai danni di un gay o di una lesbica, episodi di omofobia e transfobia all’interno delle strutture di accoglienza, ad esempio, sia da parte di fanatici islamici che da cristiani conservatori!
“Ma prima ancora di arrivare ad avere un posto dentro una delle numerose e insufficienti strutture di accoglienza sparse per il paese, una persona come me deve sopportare veramente tanto, perché l’accoglienza dei migranti avviene dividendo le strutture in base al genere degli ospiti: le donne da una parte e gli uomini da un’altra. E io che non sono ancora né l’una né l’altro? Mi dicevano che il problema sarebbe stato risolvibile solo se io fossi riuscito a nascondere il mio seno pronunciato perché ancora non operato…”.
Siccome l’eventuale fattibilità delle operazioni per il cambio di sesso è strettamente legata all’esito della commissione che esamina la richiesta di protezione internazionale, i tempi di attesa per una persona migrante trans allungano ancor di più il processo della rettificazione del sesso, che è chiamata anche riattribuzione chirurgica di sesso (RCS). Un richiedente asilo in Italia, prima dell’ottenimento di uno status di protezione, può iniziare e/o continuare la cura ormonale tramite il servizio sanitario che collabora con i consultori per la salute delle persone transessuali e transgender presenti in varie regioni d’Italia.
L’Emilia Romagna vanta il primo consultorio a livello nazionale, gestito dall’associazione onlus MIT (Movimento Identità Transessuale), che fornisce alle persone trans assistenza e sostegno qualificato nel percorso di transizione e di cambio del sesso. Infatti, le persone transessuali che si sono rivolte a MigraBò sono state aiutate principalmente dal MIT a livello fisico-psicologico.
Al-Fil racconta ancora:
“Per fortuna sono stato inserito in un appartamento con altri maschi dentro il progetto SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), dopo aver aggiunto le serrature alle porte delle stanze e del bagno, che di norma dovrebbero rimanere sempre aperte 24 ore su 24. Questo avrebbe dovuto garantirmi un domicilio e la residenza nella struttura, solo che la questura del comune dove sono ospitato si rifiuta ingiustamente di concedere la residenza a chi è in attesa dell’esito positivo della commissione competente: alcuni di noi aspettano ormai da quasi un anno!
[…] “Il permesso di soggiorno che mi è stato rilasciato in questura è un foglio bianco A4, con la mia fotografia in alto a destra, compilato a mano, sopra un codice a barre e in alto c’è scritto ‘Permesso di soggiorno per stranieri’, sotto c’è data di rilascio, indirizzo e firma dell’ufficiale.”
El-Fil, al contrario di molti richiedenti, è stato fortunato: sin dal suo arrivo è stato seguito da persone che sono riuscite a garantirgli un posto letto, una casa dove sentirsi protetto, una paghetta che gli permette di fare una spesa e mangiare, una scuola dove imparare la lingua per potersi integrare in breve tempo – quella lingua che a lui è mancata per mesi, quella che ci permette di spiegare al passante che ci vede cadere per strada cosa ci fa male e dove sentiamo dolore.